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Alcune lezioni da Sainte-Soline

[Tradotto da: https://lundi.am/Quelques-lecons-de-Sainte-Soline]

14 Novembre 2022

La manifestazione di Saint-Soline contro i mega-bacini di stoccaggio idrico del 29 e 30 ottobre ha avuto un grande successo. Il fatto che una manifestazione ecologista contro l’accaparramento idrico abbia visto radunarsi una folla variopinta e determinata al punto da far scappare una forza di polizia di 1.700 agenti e sei elicotteri, è sufficiente per mandare su tutte le furie più di un semplice ministro degli Interni o di qualche editorialista. Ma al di là del clamore mediatico, si pongono molte questioni strategiche. I partecipanti al movimento ci hanno fornito il loro feedback e le lezioni che tirano da questa giornata.
Sono già passate due settimane dalla manifestazione sulle terre rosse di Sainte-Soline contro il secondo mega-bacino nel Deux Sèvres. È stato un evento così intenso che ancora ribolle nelle menti delle persone e continua ad attirare l’attenzione dei media e della politica. Ma dopo un periodo di interruzione forzata dei lavori, il governo ha scelto di riprendere la costruzione e ha promesso di realizzare 30 nuovi bacini nel dipartimento vicino.
Questo giovedì (17 novembre NdT) verrà annunciata una nuova data di azione nazionale, con l’obiettivo di avere un impatto più duraturo su questi progetti e fermarli definitivamente. In attesa di organizzarci di conseguenza, vogliamo condividere alcuni pensieri sulle lezioni che pensiamo di poter trarre dal 29 ottobre, sulla base del cammino percorso nell’ultimo anno con il movimento. Vogliamo credere che ci sia qualcosa di più palpabile da imparare da questa giornata, che le proiezioni paracadutate dalla folla di esperti di ogni genere che si sono susseguiti sui media.
Ciò che cerchiamo di esplorare in questa sede ruota attorno alle due ipotesi seguenti: A partire da una determinata regione e da una forma relativamente nuova di infrastruttura, che i suoi promotori intendono diffondere ovunque, è possibile sbrogliare l’intero gomitolo della monopolizzazione dell’acqua, del mantenimento del complesso agroindustriale e del sostegno, in questo momento granitico, che lo Stato gli offre. Si tratta di due orizzonti opposti per i territori interessati, e quindi di due lati della barricata che si stanno chiarendo, oltre che di possibili punti di svolta di fronte alla crisi climatica.
Più che una semplice azione di resistenza ambientalista che potenzia improvvisamente i rapporti di forza in una lotta specifica, il dispiegamento di Sainte-Soline partecipa alla necessaria riconfigurazione del campo politico. La sua trama offensiva – fatta di adolescenti cresciuti in un mondo che sta naufragando, di amanti della campagna, di rivoltosi impertinenti, di pensionati che l’età rende ancora più determinati, di sindacalisti che hanno riscoperto il gusto del sabotaggio e di rappresentanti eletti che per una volta trovano coraggio – ci fa intravedere quali potrebbero essere i momenti di rivolta climatica, la forma che dovrebbero prendere ormai ovunque in risposta alle urgenze assolute di questo tempo.

SGUARDO SU UN ANNO DI ASCESA IN POTENZA DI UN MOVIMENTO, DALLE PALUDI E DAL CANTIERE DI MAUZÉ
La forza sperimentata collettivamente a Sainte-Soline è un evento in sé, e al tempo stesso è il risultato delle azioni che l’hanno preceduta. Prima di esaminare il suo significato in modo più dettagliato, è importante mettere brevemente in prospettiva la sequenza che ci ha portato alla tempesta della Terre Rosse.
Più di un anno fa, un sito equivalente a quello di Sainte-Soline è stato invaso e danneggiato. Era il cratere lunare del mega-bacino di Mauzé sul Mignon, ai margini della Marais Poitevin [Palude del Poitou, una regione anticamente tutta paludosa, oggi divisa in una parte asciutta e fertile, e un’altra ancora paludosa. La zona oggi è un parco regionale e la seconda “zona umida” di Francia per estensione, NdT]. Si tratta della prima di 16 strutture che la prefettura e i gruppi di irrigatori vogliono costruire nel dipartimento. Con l’inizio dei lavori e dopo anni di mobilitazioni di ogni tipo, serate informative e ricorsi legali, necessari ma evidentemente insufficienti agli occhi del governo, per la coalizione locale Bassines Non Merci si è reso necessario il passaggio a un’altra fase della lotta. Un convoglio di agricoltori della regione Loire-Atlantique ha spostato la narrazione
schematica del campo avversario, mostrando che non si trattava solo di una lotta tra ambientalisti da una parte e agricoltori dall’altra, ma anche di una frattura tra due possibili orizzonti agricoli. I 30 trattori, raggiunti a Niort da alcune centinaia di persone, hanno colto di sorpresa le forze dell’ordine quando sono partiti improvvisamente verso il bacino a una quindicina di chilometri di distanza. Una volta abbattute le reti, la folla, accompagnata da una banda di pecore, ha disabilitato allegramente una delle scavatrici abbandonata dal suo autista. Nel frattempo, una figura rappresentativa locale della lotta annunciava davanti alle telecamere che «per un bacino costruito, ce ne saranno tre distrutti». Questa intrusione ha dato un primo forte segnale sulla vulnerabilità e sulla materialità desertica di queste infrastrutture, oltre che sulla nuova fase del movimento. Questo incontro in azione tra i Soulèvements de la Terre, Bassines non Merci e la Confédération Paysanne [Storico sindacato agricolo francese facente parte della Coordinazione contadina europea e della Via
campesina n.d.T.] richiedeva un seguito immediato.

https://www.youtube.com/watch?v=k99E8EyIUcU&feature=emb_title
Stagione 2, atto 1: blocco del primo cantiere di mega-bacini!

Così, un mese dopo, 3000 di noi si sono riuniti nella città di Mauzé, questa volta con un dispiegamento di polizia molto più massiccio, deciso a impedirci di accedere al sito. Questo era a sua volta occupato dalle truppe della FNSEA [Organizzazione ombrello che raggruppa numerosi sindacati di grandi agricoltori francesi], venute per l’occasione a difendere il loro buco. Questa è stata la prima grande prova di forza che ha dato vita all’episodio 1 della “presa del bacino”, grazie a una deviazione concordata dall’obiettivo iniziale per puntare al vicino e già esistente bacino di Cran-chabam, dal lato opposto del grosso delle truppe avversarie. Già allora si trattava di oltrepassare file di gendarmi, attraversare un torrente in diverse migliaia di persone, correre
attraverso i campi, sfondare cancelli mentre si veniva colpiti da granate, prima di raggiungere il grande cratere, poi smontare la sua pompa e rimuovere il telone di plastica mentre si ballava intorno a una barca pirata. Dieci giorni dopo, di fronte al ruggito del governo, della FNSEA e alle minacce di repressione, personalità e rappresentanti nazionali di una coorte di organizzazioni politiche e sindacali – la maggior parte delle quali non aveva ancora messo piede nel Deux-Sèvres – hanno nonostante tutto affermato la necessità della “disobbedienza” e sostenuto il sabotaggio dei megabacini.
È stata la conferma della costituzione, intorno alla difesa dell’acqua, di un fronte ampiamente sostenuto, e determinato a dotarsi dei mezzi necessari per fermare i cantieri. Si trattava di una seconda battuta d’arresto per il prefetto delle Deux-Sèvres, che infatti è saltato pochi mesi dopo, sostituito da Emmanuelle Dubée, a cui è stato affidato il compito di porre fine alla lotta [1].

https://www.youtube.com/watch?v=ovFITgN9H_M&feature=emb_title
6 novembre 2021: presa del bacino [gioco di parole intraducibile, prise de la bassine-prise de la
bastille (presa della Bastiglia)]

Nonostante queste due mobilitazioni iniziali, il sito SEV 17 (nome di serie del bacino di Mauzé) è stato completato, a costo di ingenti risorse per garantire la sorveglianza continua della struttura e per consentirne il riempimento. Ma nel frattempo, la punchline sfacciatamente lanciata contro i gendarmi sul sito di Mauzé era stata ovviamente presa più che sul serio. Tra il settembre 2021 e il giugno 2022, quasi una dozzina di piscine esistenti sono state smantellate di notte da vari gruppi dai titoli evocativi – come la “banda del cutter a rotelle”, i “fremens del Marais Potevins” o i “fiumi arrabbiati” – che hanno così deciso, a modo loro, di rafforzare l’impatto delle mobilitazioni pubbliche. Con 10 bacini distrutti per ogni bacino costruito, la tensione era palpabile nella regione del Poitou [2].
Si è concretizzata pubblicamente con un altro raduno nel marzo di quest’anno nel piccolo villaggio di La Rochénard, sempre con il SEV 17 sulla linea di fuoco. In questa occasione sono stati mobilitati 2500 gendarmi e la manifestazione è stata vietata in un perimetro di diverse decine di km2. Ciò non ha impedito a 7000 persone di sfidare i posti di blocco per convergere verso il campo.
Questa mobilitazione record è stata una pungente smentita delle poche voci che profetizzavano che azioni più decise rischiavano di isolare il movimento e “scoraggiare le masse”, evidentemente piuttosto soddisfatte di poter partecipare a manifestazioni a forte impatto. Anche in questo caso è stato fatto di tutto per impedire l’avvicinamento al sito. Schieramento di gendarmi a piedi, squadre motorizzate nei campi, elicotteri, e soprattutto aumento della pressione dei servizi prefettizi e delle autorità agricole sulla Confédération Paysanne, che dichiarava ufficialmente l’evento. Un dilemma nell’organizzazione del weekend: entrare nella zona rossa o cambiare obiettivo? È stata privilegiata la seconda opzione, per timidezza sulle possibilità di arrivare insieme al cantiere, ma anche perché gli obiettivi alternativi presi di mira con i picconi – i tubi di alimentazione di un progetto futuro – permetteva al movimento di estendere il proprio campo di competenza. Questo nuovo gesto ha evidenziato, al di là del bacino stesso, il carattere tentacolare e quindi indifendibile di questo tipo di
opere. Sforbiciare un telone, tagliare una pompa o i tubi con una smerigliatrice, sono diventati altrettanti semplici gesti da condividere per suggerire il disarmo di tutti i bacini esistenti e far venire i sudori freddi ai loro promotori.

https://www.youtube.com/watch?v=QWG2Ksv_NXo&feature=emb_title
26 marzo, 7000 persone manifestano e smontano la rete di pompaggio di un bacino in costruzione

Per la tappa successiva, lo slogan non si vergognava più di sembrare pretenzioso: se iniziavano un nuovo cantiere, saremmo venuti a fermarlo 4 settimane dopo. La chiarezza dell’obiettivo non ha impedito a più di 150 organizzazioni di aderire all’appello. E all’inizio di ottobre, non appena sono stati installati i primi cancelli intorno a Sante-Soline, sono iniziate le riunioni di preparazione ed è stata pubblicata la mappa delle aziende coinvolte nel progetto. Da diversi mesi la rete territoriale di BNM, con le sue filiali, le sue fonti di informazione e le sue antenne di solidarietà nelle varie organizzazioni di categoria e in differenti segmenti sociali, non ha mai smesso di stupirci. Se non fosse che il terreno è, a prima vista, molto meno complice nell’immediato perimetro di Sainte-Soline che intorno al Marais Poitevin, la culla della lotta. La pressione sociale degli irrigatori locali
e della prefettura si è abbattuta sui sostenitori e ha inizialmente ostacolato la ricerca di luoghi di convergenza. Tuttavia, alcuni incontri pubblici ben frequentati hanno permesso, passo dopo passo, di trovare delle aperture in extremis. Un enorme campo a meno di 3 km dal sito è stato discretamente offerto dal suo proprietario, un ex irrigatore che ha rotto con i bacini e ha deciso di fare questo coraggioso dono al movimento. Mentre due sindacati hanno dichiarato la manifestazione, il team logistico ha anticipato il prevedibile divieto preparando l’installazione a sorpresa di un accampamento. Questo è sbarcato con un convoglio di camion e trattori nel cuore della zona rossa il giorno successivo all’annuncio della prefettura.
Il braccio di ferro è iniziato martedì con l’erezione delle prime tende, mentre il proprietario spiegava ai media perché aveva deciso di passare dall’altro lato della barricata e di invitare gli oppositori dei bacini nella sua terra. Da quel momento in poi è stata una reazione a catena. La prefettura ha alzato la voce, ma non è riuscita a trovare un modo legale per espellerci direttamente. Ha moltiplicato gli ordini di divieto tutt’intorno, ha svuotato il sito dei suoi macchinari e ha raddoppiato le minacce per dissuadere i manifestanti. Ma le prime immagini dell’accampamento si sono diffuse a macchia d’olio, attirando gli oppositori quanto le autorità, ossessionate dallo spettro della costruzione di una zad, un miraggio che senza dubbio ha contribuito all’esplosione mediatica. Quando il divieto di circolazione nella zona è entrato in vigore alla vigilia della manifestazione, una massa critica di oltre 1.000 manifestanti occupava già l’area.
Sabato mattina, dalle 7, è iniziato il gioco del gatto col topo. Ma la campagna della Melle, i suoi campi e le sue strade sterrate sono un groviera impossibile da sigillare, soprattutto da chi è disposto a camminare un po’ con una piccola mappa in mano. Un dispositivo di comunicazione che mescola infoline e punti di accoglienza nei villaggi circostanti, ha permesso a più di 6000 altri manifestanti di unirsi all’accampamento.
Prima vittoria della giornata. I camion telonati e i furgoni della polizia sono già posizionati sulla strada dipartimentale 55 che ci separa dal sito, con il supporto di 6 elicotteri. Di fronte a loro risponderemo con un gioco. Tra le 10.00 e le 14.00, diverse squadre attraversano la folla distribuendo un volantino intitolato 1,2,3 bassine! La proposta era di dividersi in 3 spezzoni per cercare di raggiungere per vie e atmosfere diverse l’obiettivo e far cadere la sua recinzione.

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il volantino che lancia “il gioco” dei tre spezzoni che convergono verso il bacino di Sainte-Soline

Tutti i partecipanti hanno accettato di giocare a questo gioco, formando quasi subito tre gruppi di diverse migliaia di persone. Le file di gendarmi, visibilmente sconvolte dall’ardore dei cortei e mandate in confusione in ogni punto dei loro singolari schieramenti, sono state successivamente superate da danze, cordoni, corse o ondate di proiettili. Una squadra, i rossi, sostenuta dall’avanzata in più punti delle altre due, è infine entrata in massa nel sito per qualche minuto prima di piantare la sua bandiera. Ha divelto buona parte delle griglie, stoppando così in modo efficace – per qualche tempo – la ripresa dei lavori. I tre cortei si sono ritrovati poco dopo davanti al cantiere per uno spuntino interrotto dal lancio di granate dispersive. Aveva appena avuto luogo il secondo episodio della “Presa del bacino”. Il giorno dopo, un tubo destinato a riempire il bacino è stato dissotterrato e scollegato da centinaia di persone intorno a un pick-up di “Irrigatori a ruota libera” che diffonde
maloya a tutto volume. Si celebra poi lo smembramento di uno dei sei bracci della piovra e l’esposizione delle sue tubature sotterranee.

https://www.youtube.com/watch?v=wCKe94mHvLI&feature=emb_title
Non un bacino di più

Invece della zad annunciata unilateralmente dal governo per poter affermare di essere riuscito nonostante tutto a impedire che qualcosa accadesse, sul posto viene lasciata una semplice scultura.
Sappiamo di poter tornare o dispiegarci altrove. E dieci giorni dopo, quando il cantiere in pausa è stato riavviato e un protocollo per la costruzione di 30 nuovi bacini è stato firmato nella vicina Vienne, nel bel mezzo della COP 27, nessuno dubita che il governo è in un vicolo cieco e che Sainte-Soline avrà delle conseguenze. Elaborarle dopo questa svolta ci costringe a interrogarci sulla portata di questa lotta.

QUELLO CHE SAINTE-SOLINE CI CONSEGNA
Questa lotta, che va avanti da molti anni, ha appena subito una notevole accelerazione nel giro di un anno, attorno alla questione dell’acqua e della sua condivisione. Quindici anni fa, una ventina di bacini costruiti in Vandea non hanno incontrato alcuna resistenza. Qual è la differenza oggi? Con l’aumento delle tensioni legate alle successive siccità, si assiste naturalmente al fiorire di lotte degli
abitanti e dei vicini del Marais Poitevins contro il deserto agroindustriale che minaccia di prosciugarlo definitivamente. Il legame reale, concreto e irrimediabile con i corsi d’acqua, con le popolazioni che vivono al suo interno e lo sorvolano, con la terra che li circonda è innanzitutto ciò che dà corpo alla lotta nelle Deux-Sèvres. Se questo fronte è possibile, è perché anche dove si estendono solo i campi apparentemente illimitati dell’agricoltura produttivista, ci sono ancora persone, luoghi e angoli che formano una comunità e che la rabbia causata dalla devastazione mette in comunicazione. Per chi viene a sostenerli da più lontano, a volte si tratta di restituire il piacere a chi dalla palude ha regolarmente percorso centinaia di chilometri, qualche anno prima, per salvare altre zone umide. Per tutti noi si tratta ora di trovare un terreno comune, di convergere intorno a un obiettivo che incarni il modo in cui ci vengono imposti i profondi sconvolgimenti che il nostro pianeta sta subendo, e di tirare il filo fino in fondo. Al centro del “disastro”, come viene chiamato, c’è l’insieme di misure di riadattamento che le autorità stanno cercando di mettere in atto per regolare (e prolungare) la situazione catastrofica che esse stesse hanno causato. Al di là della loro apparente specificità, i progetti di mega-bacini sono emblematici di questa logica. Perpetuare ancora per qualche anno un modello agricolo che ha fatto il suo corso, fino a quando non rimarrà neanche una goccia d’acqua. Poi vedremo. Opporvisi ci permette di trovare un angolo per affrontare il cambiamento climatico e di costituire da questo punto di partenza un necessario fronte di resistenza efficace. È un modo per reinterrogare le pratiche di tutti coloro che da decenni cercano di agire in nome dell’ecologia politica.
Il problema di quello che viene generalmente definito “movimento ecologista” è che, paradossalmente, è un elemento costitutivo della nostra storia politica, ma è stato spesso catturato dalle forze opposte e viene sconfitto da diversi decenni. Le vittorie, non marginali, che ha ottenuto rimangono sparse, e ora il movimento deve trovare un modo sostanziale per superarle, oppure affondare con il mondo che non è riuscito a salvare.
È difficile definire i possibili orizzonti di questo movimento, tra chi si aspetta che lo Stato agisca davvero nella direzione della “transizione ecologica”, chi vuole prendere le redini del potere e chi cerca di dargli un’identità non violenta, di renderlo portatore di una speranza rivoluzionaria o di rifiutare assolutamente questa pretesa, chi lotta soprattutto a livello locale contro un progetto di
riorganizzazione di un territorio, chi cerca di difendere un altro modello agricolo o chi essenzializza la questione della natura e ri-attualizza così le idee più nauseanti e fasciste della storia. Oggi non esiste un movimento ambientalista unificato. Sebbene non sia necessario cercare di mettere tutti d’accordo a livello teorico, dobbiamo riconoscere le differenze strategiche e talvolta anche politiche e filosofiche che ci separano. E dovremmo stare attenti al modo in cui il movimento reale le sta sconvolgendo.
Più la situazione climatica e sociale diventano tese, più sembrano toglierci la capacità di agire. È un fenomeno che lascia a dir poco perplessi, finché non si trova il suo punto di inversione. C’è una sorta di rassegnazione nell’aria che la complessità dell’eredità delle lotte ambientaliste non si attenuano in teoria. È quindi con un certo pragmatismo, tra l’altro dal terreno concreto del Marais Poitevin e delle complicità che vi esistono, che cerchiamo di superare questa rassegnazione. Oggi scommettiamo sul fatto che questo gioco di complicità in costruzione va oltre le alleanze di circostanza, i contorni troppo strettamente ideologici e le convenzioni militanti.
L’ultima a pagarne le conseguenze è la prefetta di Deux-Sèvres, che ci sorprende vedere ancora in carica oggi dopo lo schiaffo appena subito. L’intero arsenale della legge e dell’ordine repubblicano è stato messo insieme per impedire di muovere un dito a 10 km dal cantiere. E invece, tutto ciò che non sarebbe dovuto accadere è accaduto. E l’arrivo di Darmanin [ministro dell’interno NdT] in
soccorso – usando paroloni per convogliare l’attenzione dei giornalisti e promettendo, ancora una volta, la massima fermezza – non ha cambiato nulla. Al suo fianco c’è la competenza di un generale di alto rango (Richard Lizurey, che ha coordinato le operazioni di sgombero della zad di Notre Dame des Landes nel 2018) che riduce il conflitto a una semplice questione di militarizzazione dei
cosiddetti radicali. Cercano disperatamente di giustificare la loro disfatta mettendo sullo stesso piano 1700 gendarmi sovraarmati, aiutati da un supporto aereo senza precedenti, e qualche migliaio di manifestanti equipaggiati con pietre raccolte nei campi e qualche mortaio da tiro. Più di 10 anni di repressione e di mutilazioni poliziesche contro le Zad e i gilet gialli sono sufficienti per capire
questa ennesima menzogna dietro la quale si nascondono le autorità di questo paese, decise a colpire la carne per vendicarsi una volta caduti i cancelli di Sainte-Soline, con il rischio di riprodurre l’incubo di Sivens [dove una granata dispersiva nel 2014 ha ucciso Remy Fraisse mentre protestava contro un progetto di diga NdT] e con il pretesto di difendere un cantiere vuoto. Ma il danno è stato fatto e, per quanto importanti possano diventare le caricature dei dibattiti sulla violenza, la questione dell’accaparramento dell’acqua è ora al centro dell’attenzione e le prossime siccità non contribuiranno a scongiurarla.
Per far arretrare il governo in modo più definitivo, il movimento anti-bacini dovrà continuare ad aggregare. La storia ci ha mostrato che la crescita di un rapporto di forza implica quasi sistematicamente l’aggiunta al suo repertorio di una diversità piuttosto ampia di pratiche di lotta e di attori. Ma la diversità in questione non deve diventare il fulcro di ciò che ci unisce, né l’obiettivo
collettivo da raggiungere. Dobbiamo innanzitutto sviluppare e condividere un certo senso tattico dell’emergenza, un modo di sfruttare i diversi strumenti che i nostri predecessori ci hanno trasmesso, reinventandoli ogni volta che è necessario.
Finora, le forze politiche al centro di questa lotta non stanno cercando di contenere o di scavalcare le altre. Piuttosto, la loro attenzione è interamente concentrata su ciò che avrà un impatto sull’apparato dell’altra parte e creerà combinazioni inaspettate – con l’ormai iconica collusione di gruppi mascherati, contadini e funzionari eletti, adolescenti e anziani, che mirano tutti allo stesso
obiettivo. Insieme spingono un po’ più in là i limiti di ciò che è tollerabile e proponibile nei modelli di protesta conosciuti. I limiti di ciò che permette di mantenere lo status quo. Così come la portata del movimento dei Gilets Jaunes si è rapidamente estesa al di là del prezzo del carburante, possiamo solo sperare che Sainte-Soline lasci il segno nell’immaginario delle persone al di là della sola questione dei bacini.
Che cos’è questo aldilà? Una rivolta più generalizzata? L’emozione contagiosa che ha permesso di attraversare diverse file di gendarmi con i tre spezzoni di Sainte-Soline ci dice qualcosa su cosa possiamo aspettarci da una grande svolta in grado di invertire la tendenza?
Una rivolta è sempre un punto di superamento di tutte le forze che la compongono, ma una rivolta che si dà i mezzi per durare, e quindi per diventare altro, è in genere anche il risultato di un lungo e minuzioso lavoro di elaborazione che comprende la costruzione di un linguaggio, di un repertorio, di una grammatica. È la circolazione di una cultura comune tra tutti coloro che hanno il desiderio di
cercare un percorso che li assolva dall’identità che li ha plasmati. In questo percorso, appaiono le domande sui territori, sui determinismi sociali, sul genere, sulle relazioni di potere, ecc. Tanti argomenti che è impossibile spazzare via con un gesto della mano per disegnare i contorni di quello che sarebbe il campo dei rivoltosi.
Se la questione rivoluzionaria si pone dopo un fine settimana come quello di Sainte-Soline, non è perché è stata fatta una bella mossa tattica. Questa questione è nata, inconsciamente o meno, nell’esperienza inaspettata di un rapporto di forza asimmetrico che si sta ribaltando, nel sentimento diffuso di migliaia di anime che hanno sperimentato una potenza capace di vanificare in successione
l’esercito di gendarmi che ci fronteggiava e le ideologie che neutralizzano quasi sistematicamente ogni possibilità di vittoria (anche effimera). A Sainte-Soline è prevalsa la determinazione nell’azione, attraverso la farandola o con una pioggia di pietre, ed è stata festa per celebrare la sensazione di aver compiuto qualcosa di importante. DETERMINATI E FESTIVI. È anche l’energia di tutte le iniziative che ci hanno permesso di prenderci cura gli uni degli altri, di occuparci dei corpi contusi, di accompagnare in seguito quelli che i gendarmi hanno portato via e di rimanere fermi di fronte al diluvio di menzogne che i nostri nemici hanno riversato per salvarsi la pelle. La storia ci ha dimostrato che una rivoluzione è necessariamente un po’ di tutto questo, su scala molto
più ampia.
L’emozione che ha attraversato il fine settimana del 29 e 30 ottobre ci insegna qualcosa di prezioso sulla nostra capacità di stare insieme di fronte alle avversità capitalistiche e di reagire. È questa emozione collettiva che vogliamo richiamare per fermare questi progetti nei prossimi mesi. Ma abbiamo il diritto di aspettarci che questa particolare energia non si concentri solo nella battaglia di Deux-Sèvres, che non si gettino tutte le forze in un’unica lotta per poi trovarsi impotenti alla sua conclusione, qualunque sia l’esito.
I disastri oggi sono ovunque, al punto che non sappiamo dove rivolgerci e il compito di cercare di riparare agli innumerevoli errori che gli esseri umani hanno accumulato sembra spesso fuori portata.
Tuttavia, stanno comparendo dei fronti che, per quanto modesti davanti all’entità del disastro, chiedono di essere tenuti. La lotta contro i mega-bacini è una di queste. È persino diventato, lungo il percorso, un serio punto di raccolta. Avremo certamente bisogno di altri per estendere la minaccia e diffondere le nostre forze in nuovi orizzonti.
No bassaran

Delle anemoni

[1] qui un racconto completo https://lundi.am/Marais-poitevin-La-guerre-de-l-eau-est-declaree
[2] due comunicati di rivendicazione si trovano qui https://lundi.am/Laigne-17-demantelement-d-une-mega-bassine-illegale e qui https://lessoulevementsdelaterre.org/blog/debachage-de-2-mega-bassines-en-vendee%20
qui invece un video tutorial https://www.youtube.com/watch?v=3XBxFDV_XBM&feature=emb_title