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Le terre si stanno sollevando

Siamo la natura che si difende, siamo le terre che si sollevano. Non ci interessa un’ecologia tutta focalizzata sul futuro da preservare, perché i danni di questo modello di sviluppo li vediamo qui e ora e non abbiamo tempo da perdere.

Ci sembra che oggi la lotta ecologista sia incastrata in un impasse politico: in nome di una catastrofe sempre più imminente, si chiede di risolvere il problema del cambiamento climatico agli unici soggetti che sembrano in grado di agire su scala planetaria, cioè i governanti del pianeta. Ci siamo accorti però che dentro questo modo di pensare – un catastrofismo che rivendica policy climatiche dai governi – c’è un errore strategico di fondo, perché i governi a cui si chiede di agire sono capaci di guardare ai vari territori solo con le lenti dell’economia: da una parte risorse da estrarre, dall’altra catene logistiche per spostare le merci, da una parte pacchetti di voti utili, dall’altra (dove abita solo qualche sfigato, o qualcuno senza cittadinanza) zone riservate ai rifiuti. Certo, forse è possibile che qualche politica moderatamente green convenga anche a chi sta decidendo le politiche dello Stato, della Regione o del Comune in cui ci troviamo, ma se alziamo gli occhi ci accorgiamo che la logica complessiva dei governanti è per forza di cose miope e strumentale, ipocrita e stupidamente distruttiva.

I territori dove viviamo sono le prime vittime di questa situazione, ma sono anche il nostro punto di forza, sono i luoghi dove costruiamo legami, sono montagne di cui conosciamo gli anfratti, pianure lungo cui siamo abituati a marciare, fiumi che ci permettono di irrigare i campi o fare l’orto… e quindi è da qui che lanciamo una proposta di lotte diverse. La nostra idea di lotta ecologica parte da questi legami, dalle relazioni con altr* che ci costituiscono e da cui traiamo forza. La storia dei nostri posti, le vite di chi ci vive, non hanno bisogno di essere passate al vaglio di un calcolo economico per conoscere il proprio valore. Noi vogliamo fare rete con tutt* quell* per cui la vita situata in un territorio è un punto di partenza inalienabile, e non una variabile che aspetta di essere quantificata dal piano infrastrutturale di turno. Il progetto distruttivo di chi ci governa lo vediamo in ogni bosco incoltoche viene raso al suolo, in ogni colata di cemento presagio di futuri dissesti idrogeologici, in ogni filiera alimentare a basso impatto che viene sostituita da un incubo logistico.

Non abbiamo bisogno di loro, anzi ogni giorno di più ci rendiamo conto che dello Stato è rimasta solo la parte poliziesca e distruttiva, mentre ci troviamo a elemosinare quelle poche briciole di welfare che ancora per qualche tempo non sono state tagliate (una volta almeno provavano a convincerci con qualche servizio o finanziamento degni di nota!).

Lo sguardo di chi ci governa dall’alto vede un territorio “vuoto”, un territorio “risorsa” da cui estrarre ricchezza che poi viene destinata a investimenti in pochi contesti altamente produttivi e altamente abitati. Ma non solo il territorio è vuoto, sempre più si svuota anche la qualità della vita di chi abita in città e in campagna, i servizi vengono tagliati progressivamente ovunque, gli spazi dove godere del tempo libero si assottigliano. Ogni aspetto non produttivo delle nostre esistenze viene guardato come un lusso, come un’eccedenza non-necessaria che oggi ci viene concessa, ma domani ci può essere tolta. Per tutti questi motivi non possiamo ritrovarci a chiedere un cambiamento. La nostra ecologia non chiede, ma cerca le forze per sabotare i loro piani: crediamo che l’organizzazione capillare delle persone sia capace di fermare il dispiegamento della distruzione.

Ma come può una lotta locale fermare una macchina globale? Non vedete che i fattori che stanno causando la catastrofe climatica continuano a approfondirsi?

In effetti la parola locale ci sta stretta: ogni volta che ci solleviamo contro un progetto che danneggia il nostro rapporto alle terre, troviamo alleati vicini e lontani, amici che non conosciamo ancora ma pronti a marciare con noi e a sollevarsi anche in territori molto distanti. È una convergenza che viene prima delle parole e dei patti politici: partiamo dal basso, ma siamo già ovunque c’è una mobilitazione che dice NO alla distruzione programmata. Il nostro progetto è quello di far acquistare potenza a queste affinità istintive.

 

Le mobilitazioni recenti contro i mega-bacini di stoccaggio idrico in Francia ci hanno affascinato e ci hanno dato un’indicazione: colpire le macchine che organizzano la distruzione dei nostri luoghi è possibile. Infatti nonostante si dipinga come onnipotente, l’organizzazione tecno-industriale è vulnerabile e il suo primo punto debole è la presenza sui territori di tante e diffuse singolarità resistenti. È impossibile fermare una valle insorgente se in ogni paese ci sono dei presidi di resistenza. È impossibile proteggere un’infrastruttura in costruzione, se ogni discussione al bar, ogni gioco tra amici, può sfociare in un’azione contro i cantieri. Ecco cosa significa sollevarsi contro la continua riduzione a valore economico dei territori: sono le terre stesse che si stanno sollevando!