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Né ecologia né società

[Tradotto da: https://lundi.am/Ni-ecologie-ni-societe]

24 ottobre 2022

 

Dopo un’estate torrida che ha mandato ancora una volta in tilt i barometri dell’emergenza, alcuni intrepidi non esitano a chiamare questo periodo “l’autunno caldo”, proiettando le loro ultime speranze sulla congiunzione tra l’eterna data di rientro della Sinistra (scioperi nelle raffinerie, lotta all’inflazione) e l’appello a sostenere la lotta contro il progetto di un nuovo mega-bacino nel Deux-Sèvres. In quest’epoca di “allo stesso tempo” (“ma anche…”), ci ricordiamo una vecchia formula: “Fine del mondo, fine del mese, stessa lotta!”.
Questo slogan risuonava ancora poco tempo fa nelle strade fino agli Champs Élysées, dove i Gilets Jaunes hanno tratto forza da questa frase che in principio era stata pronunciata con cinismo da Nicolas Hulot, ministro dell’Ambiente. Oggi la sua forza si è attenuata. Si è persino rivolta contro le lotte ed è tornata alla sua funzione iniziale, quella di governo. Stiamo assistendo alla costruzione di un nuovo scenario per le lotte, che tiene fianco a fianco, separate ma insieme, le due categorie della pacificazione di massa: le questioni sociali – che hanno ripetutamente dimostrato la loro rilevanza pacificatrice – e l’ecologia, un nuovo anestetico pigliatutto.
La civiltà ha raggiunto una squisita perfezione nella produzione di soggettività alienate. L’assenza dal mondo che riesce a infonderci, ha raggiunto un nuovo stadio. Finora è riuscita a far sembrare criminale qualsiasi esperienza di comunità, a far sembrare terroristica qualsiasi condivisione dell’uso, e a far sembrare la questione dell’organizzazione della solitudine – cioè il sociale – una questione esterna, fuori di noi. Nel processo di civilizzazione del mondo, la presa sugli esseri e sulle cose è inseparabile dalla presa sulle domande. Così, nella eterna ricerca di perfezionamento della civiltà, è necessario togliere agli abitanti del disastro un’altra domanda: quella ecologica. Che in realtà è sempre la stessa – la questione del proprio rapporto al mondo – ma deve essere continuamente divisa, tenuta separata, distrutta pezzo per pezzo, ridotta a essere solo il pavimento dell’individualità. L’ecologia come separazione definitiva in cui le cose devono solo accumularsi senza mai incontrarsi, senza mai risuonare.
L’epoca sta dando vita a un nuovo tiranno, frutto della riunificazione di questi due domini separati: ECOLOGICO-E-SOCIALE.
La produzione dell’individuo è inseparabile dalle sue amputazioni “sociali ed ecologiche”, che con un’inversione diventano i suoi attributi principali. L’identità, figlia abietta dell’appartenenza, non c’entra più niente con la possibilità di una riappropriazione collettiva delle domande e dei modi di rispondervi. L’identità funge addirittura da unità di base del governo di questa civiltà. Spetta a ciascuno collocarsi, in base alla propria sensibilità, sui diversi cursori della propria identità politica futura: da chi sarà più colpito dalle questioni sociali a chi avrà raggiunto una più acuta consapevolezza dei problemi ambientali.
Dobbiamo in primis ricordarci l’importante ruolo svolto dall’utopia socialdemocratica nel disinnescare le lotte più aspre del secolo scorso, e solo allora sarà possibile distinguere il futuro ruolo della coscienza ecologica come braccio armato della controrivoluzione nel XXI secolo.

LA DOMANDA TOTALE
Persiste la voce che l’ecologia sia un percorso di politicizzazione perché diffonde e media un problema che è di TUTTI.
Solo un’amnesia generale può spiegare perché sia considerata una novità una questione che si poneva già mezzo secolo fa, assieme alla questione sociale, come problema dell’unità della specie umana. Amnesia alimentata da grandi miti storico-scientifici, in particolare quello della coincidenza tra le prime incursioni umane nello spazio e la consapevolezza ecologica. Nel 1972, l’anno dei primi vertici governativi sul cambiamento climatico (Vertice di Stoccolma), la NASA fornì la prova tecnica dell’unità umana con una fotografia del “nostro pianeta blu che galleggia nel vuoto”, Blue Marble. Nel tentativo di imporre la sua radicale modernità, questo mito nasconde malamente le sue profonde radici tradizionali. Prima delle varie e simili consapevolezze ecologiche e sociali, l’unità di tutti gli esseri umani è sempre stata la fantasia delle grandi religioni. Come secolarizzazione dei vecchi problemi di governo, l’antinomia tra tradizione e modernità sembra dissolversi nel
raggiungimento mitico dell’unità-separazione di tutti gli uomini, non più con Dio, ma con la figura altamente tecnologica dell’astronauta.
Un nuovo monarca, l’astronauta potrebbe dire che a questa distanza dalla Terra non riconosce più nessuna parte, vede solo uomini. Ma la definizione di un’unità da una tale distanza, dal vuoto, dall’assenza dal mondo, non può che essere una prova di ostilità, un’unità di governo. In un certo senso l’umanità è solo extraterrestre, perché è nel terrore di dover pensare alla propria situazione singolare e comune che trova posto la consolante fantasia della totalità, dell’unità terrestre.
In sostanza, l’ecologia è un dispositivo chiave della depoliticizzazione contemporanea perché risponde con due strategie: si identifica o si affida al blocco della governance, oppure perde ogni orizzonte politico nella settorializzazione della lotta e nel ripiegamento sulla morale.

UNO STUDIO DEL MILIEU
Tuttavia, mentre questa improvvisa unità forzata ci forza alla spoliticizzazione, l’esperienza della separazione e della mancanza di presa diventa una fonte di politicizzazione. Allo stesso tempo, la consapevolezza del proprio spossessamento non dà ancora un accesso alle domande.
L’emergere di una posizione rivoluzionaria non può prescindere da una critica radicale del milieu ambientalista – coloro che hanno così paura di non averne uno, di essere fuori dal coro, si trovano comunque ad annaspare in un milieu: quello della Sinistra. La Sinistra è la perpetuazione della fantasia di una governance giusta. Il grande dibattito sulla condivisione dell’acqua o sulla ridistribuzione delle terre sono solo alcune delle molte illustrazioni di questa fantasia. Disporre o non disporre, distruggere o conservare; per mantenere un tale rapporto di esteriorità alle cose, era necessario negare sia la dimensione ontologica dei luoghi che quella geografica degli esseri, rendere impossibile qualsiasi relazione non-utilitaristica. La non separazione, l’accesso all’uso, è possibile
solo abbandonando ogni desiderio di governo, mettendosi alla pari con il mondo di fronte alle domande. Non c’è bisogno di leggere l’opera omnia di Philip K. Dick o di guardare l’intera serie Westworld per capire che dietro ogni proposta utopica c’è una distopia molto reale, sia che sia costellata di automi che garantiscono la fine del lavoro, sia che si articoli intorno a una figura, una forma di vita, il contadino che coltiva un rapporto onesto con la terra. La civiltà non cerca di avere il controllo, cerca che sempre vi sia del controllo.
È quindi il contrario della produzione che dobbiamo trovare, non possiamo accontentarci di un semplice cambiamento del modo di produzione (slogan di Greenpeace: “Produrre con la natura”).
Dobbiamo uscire dalla palude del discorso emergenziale sul disastro ambientale e capire che il ruolo storico della civiltà è sempre stato quello di produrre ed estendere l’ambiente del disastro.

LA BRECCIA
Tutte le mosse del potere – nuovi confini, riformulazione di concetti tecnici, campagne di Sinistra – rivelano agli occhi di chi sa guardare che esiste una breccia, che è aperto un dibattito sulla perpetuazione o il rinnovamento delle logiche di controllo, e che attraverso questa breccia possiamo vedere la civiltà nuda e vulnerabile. Questa finestra di opportunità non è scontata, non dobbiamo ricadere nella trappola che la chiuderà inevitabilmente, per la civiltà tutte le contraddizioni sono risolvibili, morte al marxismo.
In questi tempi di invocazione di un autunno caldo, ricordiamo uno degli eventi fondanti dell’autonomia operaia in Italia, la rivolta di Piazza Statuto del 1962. Quel giorno, l’alleanza tra i sindacati e il Partito Comunista Italiano, più propenso a difendere l’ordine repubblicano che a farsi portavoce delle richieste dei lavoratori, non rimase accettabile. Per la prima volta, una manifestazione su larga scala prese d’assalto la sede di un sindacato. I carabinieri intervennero brutalmente per proteggere i sindacalisti, ridefinendo così la linea del conflitto. Seguirono tre giorni di disordini e scontri intorno alla piazza. Con questo atto fondativo, i giovani ribelli aprirono a se stessi e alle generazioni future la possibilità di una radicale messa in discussione del lavoro, della
sua organizzazione e delle istituzioni che lo gestiscono, modificando radicalmente il contenuto delle lotte che seguirono.
Il superamento che misero in atto è sempre possibile. Le lotte rivoluzionarie non saranno quindi né ecologiche né sociali. Troviamo insieme gli usi che faranno risuonare nel tempo le possibilità della Rivoluzione. Gli incontri e la creazione di una posizione rivoluzionaria sono situati, perché è nella pratica della lotta che nasce la più grande destituzione. Non perdiamo l’occasione di essere a Saint Soline il 29 e 30 ottobre.
“Le siepi fiorite di queste belle valli nascondevano aggressori invisibili. Ogni campo era una fortezza, ogni albero una trappola, ogni vecchio tronco cavo di salice un nascondiglio. Il campo di battaglia era ovunque.”
Balzac